Le misteriose vie degli Etruschi





Il professor Mario Tizi esperto ed appassionato di archeologia etrusca spiega il significato delle vie cave:

Le fonti antiche riportano il mito etrusco di Tagete: da un solco aperto nel terreno delle campagne di Tarquinia esce Tagete. Il dio ha l’aspetto di un fanciullo, la canizie e la saggezza di un adulto. Agli Etruschi accorsi rivela l’Etrusca Disciplina, il complesso di norme e rituali che fonda la loro religione. Una religione, quindi, strettamente connessa alla madre terra e un dio che nasce da un solco aperto nella sua “carne”. Gli Etruschi avevano la convinzione che la Terra fosse viva e le sue sacre energie potevano venirne fuori per il bene di tutti gli uomini, sia quelli viventi, sia quelli che riposavano nelle “città dei morti”.
Il mito ci fornisce una chiave di lettura per la comprensione di quelle opere monumentali rintracciabili solo in Etruria: le vie cave, profonde tagliate realizzate nel tufo, sulla cui funzione ancora ci si interroga. Percorrendo gli antichi luoghi della Toscana e del Lazio che furono abitati dagli Etruschi, non è raro imbattersi in questi corridoi ciclopici, che definiscono uno stretto percorso delimitato da alte pareti, in pendenza e curvilineo, dentro il quale scende dall’alto la luce con difficoltà.I centri etruschi di Sovana, Sorano e Pitigliano sembrano specializzati in questi manufatti: presentano infatti una cinquantina di vie cave, disposte in tutte le direzioni e spesso appaiate. Ma la Tuscia, anche se non raggiunge lo stesso numero, presenta abbondantemente le stesse opere, accomunata ai centri toscani da una medesima conformazione del territorio. Perché i nostri progenitori si sobbarcarono alla fatica di incidere profondamente il tufo, per costruire queste strade particolari? Non potevano tracciarle seguendo il terreno in superficie? E a che cosa servivano? Gli archeologi hanno dato diverse risposte: per alcuni avevano la funzione pratica che hanno tutte le strade, cioè quella di mettere in comunicazione i luoghi. Altri assegnano alle vie cave il compito di far defluire le acque o assegnano a tagli successivi l’abbassamento del piano stradale nel corso dei secoli.Naturalmente le vie cave furono utilizzate nel corso dei secoli anche come strade e questa continuità è testimoniata dai numerosi segni, incisioni, cunicoli e nicchie che compaiono nelle pareti.La spiegazione che potessero servire a non far scivolare gli animali in transito è troppo debole per venir presa in considerazione. Un’opera analoga, ma su scala simbolica, presente nella “piramide” di Bomarzo, sposta la spiegazione in tutt’altra direzione. Per gli Etruschi la natura era viva, aveva un “potere”,l’energia dell’acqua, il suo potere sacro, doveva essere utilizzato per fecondare il grembo della madre terra rappresentato dalle piccole buche. E la vita era generata da questa feconda unione delle forze provenienti dall’alto con quelle che risiedevano a livello terrestre.A collocarci in questa strada interpretativa sta un monumento preistorico studiato dagli archeologi. In Sardegna, a Perda Fitta (Serramanna, Cagliari ) c’è un monolite che risale al neolitico: è una sorta di menhir che presenta nella faccia anteriore dieci coppelle allineate verticalmente. Queste cavità-utero avevano il compito di attirare l’energia primordiale, in modo da venir fecondate dall’acqua piovana o dai liquidi sacrificali.E lo studioso Giovanni Feo inquadra bene il problema quando sostiene che le vie cave in origine hanno avuto la funzione di percorsi sacri, destinati ad attraversare le aree sacre e funerarie e, probabilmente, a servire per speciali processioni e cerimonie itineranti, connesse ai culti del sottosuolo e dell’oltretomba. Anche ad una osservazione superficiale risulta chiaro che dove c’era una via cava, nelle immediate vicinanze è rintracciabile anche una necropoli o un luogo sacro agli etruschi. In sostanza i nostri progenitori, coerentemente con le loro convinzioni religiose, cercarono di entrare in risonanza con le forze della terra. Realizzarono, cioè, una penetrazione sacrale del sottosuolo alla ricerca di un contatto con il divino e questo lo realizzarono in più modi. A questa ricerca vanno ascritti i dromos, i pozzi sacri, i labirinti e quei solchi multipli che incisero nel terreno tufaceo in più di un luogo, tutte opere connesse al culto della terra. Il dromos, il corridoio di accesso ad una tomba che spesso è lungo svariati metri, simulava il passaggio per l’aldilà e i pozzi sacri, privi di una specifica funzione pratica, dovevano mettere in comunicazione il nostro mondo con quello infero. I labirinti, poi, realizzati in più di una città etrusca, erano percorsi con danze e passi rituali e trovare l’uscita aveva il significato di sfuggire la vita senza direzione ed esorcizzare l’onnipresenza della morte.
E i solchi, infine, tracciati senza un impellente scopo pratico, potevano costituire canali di scorrimento per il “potere sacro” dell’acqua, al fine di irrigazione magico-sacrale di un luogo o di un territorio. Anche quello della Tuscia presenta vie cave, che ritroviamo in numerosi centri come Ischia di Castro, Viterbo, Blera, Barbarano Romano. La più monumentale, però, è senza dubbio quella di Norchia...
L'articolo è del prof. Mario Tizi.socio archeotuscia
Le foto sono state tratte da Google

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